A pranzo con Bateson



Lo squillare del telefono mi fece trasalire; le gote rosse e la voce tremula, risposi “Pronto!”
Dall’altra parte una voce vagamente roca mi diede subito un senso di tranquillità. Avevo atteso per settimane e finalmente ero stata premiata. Con molta cortesia, dopo i convenevoli di rito, mi assicurò che nonostante la brevità della sua permanenza a Roma avrebbe avuto enorme piacere a ricevere un invito a pranzo e da me. Il nostro incontro, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, lo aveva interessato a tal punto che avrebbe voluto conoscermi più a fondo per potere parlare dei suoi scritti e delle mie critiche, proprio per l’estraneità che c’era tra noi. Aggiunse che non c’era cosa migliore che parlare tra un bicchiere di vino e uno stufato. Ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti a casa mia dopo due giorni. Conclusa la telefonata, le gambe mi tremavano ancora, e avevo tante cose per la testa: cosa gli dirò dei suoi scritti che conosco così poco, ma soprattutto cosa gli offrirò a pranzo?
Il primo giorno era passato pensando a come riceverlo, come apparecchiare. All’americana o alla siciliana?
Alla siciliana. Ricordavo i pranzi da bambina, quando c’era un ospite di riguardo. La mamma e le zie dicevano sempre “L’ospite è sacro” e questo significava, tovaglia ricamata servizio buono, e portate da lasciare il segno. Chi era questo Ospite con la o maiuscola? Era il famoso Gregory Bateson, antropologo, filosofo, cibernetico, insomma uno che ci sapeva fare con la mente e la scrittura. Non avevo approfondito molto tutto ciò che fino allora aveva prodotto, viveva in America, ma pubblicava anche da noi. Sapevo che era un uomo anziano ma ancora pieno di curiosità. Il giorno fatidico giunse. L’ora stabilita le 13 si presentò, elegantissimo e con un omaggio: un manoscritto inedito! Quale onore per me! Ci accomodammo in salotto. Vino bianco freddo e tartine a base di granchio. Era estasiato. A tavola iniziammo con una caponata, una parmigiana di melanzane alla palermitana e sarde fritte dorate. Ad un tratto la sua mano sfiorò la mia, in gesto di gran compiacimento. Cominciammo a parlare della mente. Seguirono: la pasta con le sarde, il timballo d’anelletti al forno e gli involtini di carne… Fu allora che mi baciò… la mano, dicendo che era stato superato nettamente dal piacere del palato, il piacere della mente. Il pranzo finì con la cassata di ricotta, ricca di frutta candita, e il vin santo.
A quel punto Gregory mi confidò che in vita sua non aveva mai fatto un pranzo così. Soddisfatti e stanchi passammo il pomeriggio con riflessioni su ciò che siamo e da dove veniamo e su quale tipo di vino fosse stato il migliore.

                                                                                                                        M.S.



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