Deserto surreale



Da una mostra di G.A., una composizione di grande effetto.








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La sete del bevitore


 lo dolce ber che mai non m’avria sazio

“Proprio a posto! Per ora sto proprio a posto”, pensava quasi soddisfatto il vinaio: “La rata del mutuo coperta, la cambiale in scadenza pure … chissà che non possa cominciare a pensare di cambiare la macchina! Una catalitica magari di seconda mano mi ci vorrebbe proprio, io che abito dentro la ZTL!”
Il vino che faceva Giovanni lo vendeva bene, benissimo, e aveva adesso tante di quelle ordinazioni che ci avrebbe messo un mese a soddisfarle. In poche parole: affari d’oro!
“Ho trovato quello che vogliono i clienti e finalmente li posso saziare”, si diceva, poi rifletteva: “Bè, proprio a saziarli non mi converrebbe: perché me lo comprino, il vino, un po’ di sete dovrò mantenergliela … poca poca, però, ché potrebbero sempre andare a spendere da un altro vinaio!”
Il problema stava proprio lì: come mantenere quel momento favorevole? Quanto ancora sarebbe durata la grascia, con quella smania per il rosso forte? Ora non era facile trovarne tanto e subito. Ma fra poco, col caldo, la gente avrebbe preferito il bianco leggero … Non doveva prenderne troppo, di rosso, che sarebbe rimasto invenduto. E pure Giovanni, a vedersi richiedere tutto quel vino urgente, non ne avrebbe alzato il prezzo?
“Non deve accorgersene Giovanni!” si diceva: “ … ecco: non glielo devo far capire … ma neanche posso dargli ad intendere che quel vino è per i consumi della mia famiglia: millequattrocento litri, logicamente li devo vendere! E se un po’ di vino lo prendessi da Mario?” Gli venne in mente il proverbio: tutti utili e nessuno necessario. “Ci fa pure la rima! Mario è necessario!”, rise fra se. Ma c’era poco da ridere.
“E’ difficile stare in affari! Con questi lupi!” Lui lo diceva ma quelli, gli altri vinai, proprio lupi in fondo non erano, lo sapeva bene: la potevano pensare più o meno come lui. Non di meno bisognava avere cent’occhi, ché a sentirsi troppo tranquilli si correvano dei rischi: “Lupo fra i lupi … così devo essere”.
All’angolo, dove c’era prima il negozio di stoffe, l’altro giorno avevano scaricato dei tavolini nuovi nuovi … “Apriranno una pizzeria, che mi comprerà il vino, o un’osteria, che mi porterà via clienti? Mah … stiamo a vedere!”.
“E’ difficile stare in affari! Eppoi, valli a capire i bevitori!” Per lui già era tanto studiare i concorrenti, che a capire i bevitori proprio non ci poteva pensare. Eppure al corso della confcommercio quelli della qualità totale lo avevano detto in continuazione: “ … fate attenzione alla clientela … tutto il resto viene dopo … state attenti al cliente!”.
“Ma più del vino buono, al cliente che gli devo dare?” si chiedeva e rifletteva: “Pure papà diceva: al cliente dagli quello che vuole e starai a posto! Già, ma lui di vino se ne intendeva … beveva, eccome beveva! Dava il vino in assaggio ai clienti e beveva con loro …”
Bisognava vederlo, il padre, in quelle occasioni! Faceva come un vortice di vino nel bicchiere, aspirava profondamente i vapori e rilasciava il fiato piano piano, poi un sorso. E lo masticava, lo risciacquava nelle guance, lo tracannava e ahh ... mentre quelli se lo stavano a guardare in attesa d’un responso … e alla fine pagavano. Pagavano, spettacolo compreso!
Il figlio intimamente si scherniva: “ … a me invece il vino non mi piace … lo vendo per denaro … per guadagnarci sopra e basta!” Proprio così: lui vendeva il vino ma se fosse stata ferramenta o cartoleria poco sarebbe cambiato. Per gli assaggi manteneva diversi sommellier, i più complessi fra i suoi dipendenti.
Ma come è possibile vendere una cosa così, senza neanche conoscerla? Come fai ad assistere il compratore, consigliarlo e tenerlo informato, se non intuisci i suoi bisogni? Il vino, poi, non è una merce qualunque e la sua stessa pubblicità deve essere allusiva, personalizzata anzi interiore.
Più d’altri compratori il bevitore sa cosa vuole. Più di altri compra per se, pure quando vuol donare. Specialmente per bere in compagnia.
Anche gli ubriaconi, che non sono mai sazi, hanno una loro conoscenza del liquore preferito; diciamo che conoscono gli effetti non lineari della saturazione; e sono pur essi degli intenditori, anzi degli specialisti.
Vai, vai. Vallo a vendere, il vino!
      C.C.

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Nudo di donna

Dalla mostra di G.A., una grande artista dei nostri giorni.

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A pranzo con Bateson



Lo squillare del telefono mi fece trasalire; le gote rosse e la voce tremula, risposi “Pronto!”
Dall’altra parte una voce vagamente roca mi diede subito un senso di tranquillità. Avevo atteso per settimane e finalmente ero stata premiata. Con molta cortesia, dopo i convenevoli di rito, mi assicurò che nonostante la brevità della sua permanenza a Roma avrebbe avuto enorme piacere a ricevere un invito a pranzo e da me. Il nostro incontro, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, lo aveva interessato a tal punto che avrebbe voluto conoscermi più a fondo per potere parlare dei suoi scritti e delle mie critiche, proprio per l’estraneità che c’era tra noi. Aggiunse che non c’era cosa migliore che parlare tra un bicchiere di vino e uno stufato. Ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti a casa mia dopo due giorni. Conclusa la telefonata, le gambe mi tremavano ancora, e avevo tante cose per la testa: cosa gli dirò dei suoi scritti che conosco così poco, ma soprattutto cosa gli offrirò a pranzo?
Il primo giorno era passato pensando a come riceverlo, come apparecchiare. All’americana o alla siciliana?
Alla siciliana. Ricordavo i pranzi da bambina, quando c’era un ospite di riguardo. La mamma e le zie dicevano sempre “L’ospite è sacro” e questo significava, tovaglia ricamata servizio buono, e portate da lasciare il segno. Chi era questo Ospite con la o maiuscola? Era il famoso Gregory Bateson, antropologo, filosofo, cibernetico, insomma uno che ci sapeva fare con la mente e la scrittura. Non avevo approfondito molto tutto ciò che fino allora aveva prodotto, viveva in America, ma pubblicava anche da noi. Sapevo che era un uomo anziano ma ancora pieno di curiosità. Il giorno fatidico giunse. L’ora stabilita le 13 si presentò, elegantissimo e con un omaggio: un manoscritto inedito! Quale onore per me! Ci accomodammo in salotto. Vino bianco freddo e tartine a base di granchio. Era estasiato. A tavola iniziammo con una caponata, una parmigiana di melanzane alla palermitana e sarde fritte dorate. Ad un tratto la sua mano sfiorò la mia, in gesto di gran compiacimento. Cominciammo a parlare della mente. Seguirono: la pasta con le sarde, il timballo d’anelletti al forno e gli involtini di carne… Fu allora che mi baciò… la mano, dicendo che era stato superato nettamente dal piacere del palato, il piacere della mente. Il pranzo finì con la cassata di ricotta, ricca di frutta candita, e il vin santo.
A quel punto Gregory mi confidò che in vita sua non aveva mai fatto un pranzo così. Soddisfatti e stanchi passammo il pomeriggio con riflessioni su ciò che siamo e da dove veniamo e su quale tipo di vino fosse stato il migliore.

                                                                                                                        M.S.



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